L’attesa compiuta
Lc 2,22-32 – presentazione del Signore al Tempio – (2 febbraio 2025)
Fr. Goffredo Boselli, monaco della Madia
È nel Tempio di Gerusalemme che ha inizio l’Evangelo di Gesù Cristo secondo Luca. È al Tempio che Gesù pronuncia le sue prime parole. È nel Tempio che l’Evangelo secondo Luca si conclude con i discepoli pieni di gioia che benedicono Dio. È al tempio, oggi, che Gesù incontra Israele nell’obbedienza radicale alla Legge di Mosè. Sì, il Tempio – il luogo dove dimora la Shekhinah, la presenza di Dio in mezzo al suo popolo – è per Luca il luogo dell’incontro di Gesù con il suo popolo nella preghiera. Il Tempio è veramente il luogo del Dio- con-noi, dell’Emmanuele. Il vangelo ci dice che la presentazione di Gesù al Tempio è un compimento, una pienezza di giorni che vede la consolazione d’Israele estendersi a “tutti i popoli”. È un compimento e una pienezza che fa della gloria di Israele una luce per i pagani. Se alla sua nascita non c’era posto per lui nelle case per i viaggiatori, al compimento dei quaranta giorni, Gesù è accolto nella casa di Dio, al cuore del suo popolo e di fronte a tutte le nazioni, in quel luogo dove Gesù dodicenne verrà a manifestarsi come figlio del comandamento nella casa del Padre suo. Per Luca Gesù è a casa sua nel Tempio di Gerusalemme, là dove ascolterà e interrogherà i maestri d’Israele, là dove trascorrerà gli ultimi giorni della sua vita insegnando.
Portato al tempio da Maria e Giuseppe Gesù incontra Simeone, quest’uomo di Gerusalemme giusto e credente. In lui Gesù incontra l’attesa della consolazione d’Israele! Spesso si leggono unilateralmente gli incontri di Gesù come incontri dell’uomo con Dio, dimenticandosi l’atra prospettiva possibile, quella di Dio divenuto uomo che incontra l’uomo chiamato a diventare Dio. Certo, mosso dallo Spirito Simeone viene al Tempio, vede con i suoi occhi e può prendere tra le sue braccia il Cristo del Signore; ma è anche Gesù che portato nelle braccia dei suoi genitori che incontra l’attesa d’Israele! Lui che è il compimento di questa attesa, si sente portato dalle braccia di questa attesa come era stato portato nel grembo di sua madre verso l’incontro con tutta l’attesa dei profeti personificata da Giovanni il Battista nel grembo di Elisabetta.
Mentre si dice nel testo che la profetessa Anna era anziana, Simeone non ha età, è semplicemente “un uomo”, cioè non ha storia propria perché incarna tutto il popolo d’Israele e ciascuno di noi: la sua età è di essere contemporaneo a Gesù e in lui contemporaneo a tutti, e la sua storia è quella di incarnare l’attesa di tutta la storia d’Israele, l’attesa delle genti di tutti i tempi e di tutti i luoghi, l’attesa del cosmo intero fin dalla sua origine, nel misterioso e luminoso movimento tra l’Attesa e l’Atteso. Comprendiamo bene allora che Simeone può cantare nella pace la fine dei suoi giorni: “Ora lascia o Signore, che il tuo servo vada in pace …”. Cantare Shalom di un’attesa colmata non è per Simeone – e neppure per noi ad ogni compieta – cantare la fine dei giorni ma cantare un compimento. È l’esaudimento dell’attesa che colma i nostri giorni, ciascuno dei nostri giorni, a condizione però che i nostri occhi sappiano riconoscere e le nostre braccia sappiano accogliere la salvezza di Dio in Cristo Gesù.