Il Vangelo non passa
Mc 13,24-32 – XXXIII domenica nell’anno – 17 novembre 2024
“Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”, questo messaggio di Gesù risuona oggi più che mai attuale mentre costatiamo come stanno velocemente passando sopra di noi i cieli degli insegnamenti, dei valori, e della cultura cristiana. Quando la vita della quasi totalità dei nostri contemporanei non è più illuminata dal messaggio cristiano perché esso, anche per responsabilità di noi credenti, è lentamente entrato in un’ombra di insignificanza, come se si spegnessero la luce del sole e della luna. Sotto i nostri piedi sta passando la terra dell’ethos cristiano, dei comportamenti e delle scelte, di una convivenza ispirata dai valori cristiani, come passano riti e appartenenze. Se questa realizzazione storica del cristianesimo sta passando, il Vangelo resta come parola sempre portatrice di novità.
Imparare oggi la parabola del fico, discernere il germoglio della novità evangelica quando sotto i nostri occhi un mondo finisce, significa per noi cristiani non ridurre il cristianesimo a ciò che è stato nella storia e anche in un passato recente, ma a levare la testa verso l’avvenire del cristianesimo che altro non può essere che il Figlio dell’uomo veniente. “Le mie parole non passeranno”, questa parola di Gesù impedisce a noi cristiani di ridurre il Vangelo alla misura di un messaggio fondatore di una tradizione religiosa. Il Vangelo non sta alle nostre spalle ma ci sta davanti come nostro futuro e come promessa del cristianesimo che ci attente. Vegliare nell’attesa del Figlio dell’uomo veniente sulle nubi del cielo altro non significa se non credere che il Vangelo è ancora l’avvenire dell’umanità. Non è solo la sua storia ma è soprattutto il suo futuro. Il senso evangelico dell’umano può ancora dare una risposta unica e originale ai problemi dell’umanità contribuendo alla creazione di una civiltà diversa.
Il Vangelo sempre veniente va atteso, invocato e ascoltato perché ci eleva a una possibilità di esistere che trascende ogni capacità meramente umana di sopravvivere. Sì, questa è la vera alternativa che ci attende, vivere o sopravvivere come persone e come società. Per questo, il Vangelo non è il garante di una memoria collettiva ma è la condizione di una speranza comune. Gesù Cristo non ci ha insegnato il senso della vita, ma con la sua morte ci ha dato la vita della vita. Ha infatti detto “io sono venuto perché abbiate la vita” (cf. Gv 10,10) e non “perché abbiate il senso della vita”. Per questo, il suo Vangelo non è fatto per dare senso ma per dare l’insensato che umanamente sconcerta e disturba. Con le nostre raffinate letture antropologiche, spesso neomoralistiche, abbiamo reso il Vangelo troppo credibile, troppo compatibile con la sapienza umana e per questo l’abbiamo reso afono, privandolo della sua parte di scandalo e follia. È discepolo di Cristo chi consente al Vangelo di sorgere come Vangelo, ma sempre veniente dal cielo non dalla terra.
“Le mie parole non passeranno”, significa in definitiva per noi credere che la vita di Gesù, da cui è nato il cristianesimo non ha ancora esaurito tutto il suo significato. Per questo il Signore è sempre “il Veniente” (Ap 1,4), l’atteso, l’invocato da noi cristiani che per primi non abbiamo ancora compreso l’evento Gesù in tutta la sua portata. Quando tutto passa il Vangelo non passa perché sarà sempre l’unica e vera parte ancora mancante alla Chiesa e all’umanità.
Per questo il Vangelo ci sta davanti: ci precede e viene verso di noi.
Goffredo Boselli