Gesù pane della vita
Gv 6,1-15 – XVII domenica dell’ordinario – (28 luglio 2024)
Interrompendo la lettura del Vangelo secondo Marco, per cinque domeniche successive la liturgia da a meditare, quasi per esteso, il sesto capitolo del Vangelo secondo Giovanni che contiene il grande insegnamento di Gesù sul “Pane di vita”. Questa espressione metaforica designa ciò che è più necessario all’esistenza umana perché essa possa raggiungere la sua pienezza.
“Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse … la fame?” domanda l’apostolo Paolo (Rm 8,35). E il vangelo di questa domenica rivela che anche Gesù abita, tra le esperienze estreme elencate da Paolo – “la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la nudità, il pericolo, la spada” – quella così umana, così quotidiana eppure così particolare della fame. Nel deserto della prova, dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti “alla fine ebbe fame”; Gesù conosce la fame e per questo riconosce la fame dell’altro. È perché è stato affamato che può sfamare. C’è infatti un modo di comunicare alla fame che è già un modo di dar da mangiare. L’essere-con del Dio-con-noi, (Emmanuele) è già una maniera, a ben guardare la più
fondamentale, di saziarci.
Gesù alza gli occhi e vede una grande folla venire a lui e riconosce che è una folla affamata. Il Signore non resta impassibile di fronte ai bisogni umani elementari, materiali, reali e urgenti. Testimonia questa infinita compassione che ha sempre dimostrato verso ciascuna delle sofferenze incontrate sul suo cammino. Lui che ha insegnato ai suoi discepoli a chiedere al Padre “il nostro pane quotidiano”, come può restare impassibile di fronte a una folla affamata?
“La fame dei poveri tu l’ascolti Signore”, prega il salmista (Sal 10,17). Interpella Filippo: “Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?”. Ma Filippo si limita semplicemente a quantificare, costatando quello che non hanno, i “duecento denari” che non sarebbero in ogni caso sufficienti per sfamare tutti. Gesù chiede ai discepoli un coinvolgimento diretto, che comporta il passaggio dalla prestazione al servizio: donare a partire dai mezzi, anche modesti, di cui si dispone: “C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pasci; ma che cos’è questo per tante gente?”. Sono chiamati a valorizzare quello che realmente hanno, anche se è nulla per così tanta gente.
Gesù esige che gli si porti tutto, anche se quel tutto è insignificante come cinque pani e due pesci. Ed è con questo niente che Gesù darà da mangiare alla folla. Prende con le sue mani i cinque pani e due pesci, benedice per essi Dio, e li dà condividendoli perché tutti ne ricevano. “La fame del mondo non dipende dal fatto che manca il pane, ma dal fatto che non è condiviso”(Paolo Ricca).
Gesù moltiplica i pani e i pesci e la folla dirà: “Ci hai dato da mangiare”. Avrebbe voluto che quella folla comprendesse che quella fame e quella sete, che è l’uomo, ha la sua risposta non nel pane che si mangia, ma in qualcosa che sazia più profondamente il bisogno e il desiderio dell’uomo e della verità dell’uomo, cioè Gesù Cristo stesso.
Goffredo Boselli