La Trinità è la vita che è in noi
Mt 28,16-20 – Trinità (26 maggio 2024)
“Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo”, è in questi tre nomi che dimora in modo permanente il nostro battesimo, da quando abbiamo trovato in essi il nostro atto di nascita. Il mistero della Trinità che celebriamo non è un teorema, un concetto, un’astrazione: è il nostro ambiente vitale, il milieu divin di cui amava parlare Teilhard de Chardin. La Trinità, infatti, non è il risultato di una trigonometria lontana e ipotetica, è il nostro Prossimo, il nostro Intimo, è il nostro Elemento vitale. I filosofi, i razionalisti possono certamente tracciare un triangolo nel loro cielo laico, ma l’uomo non può che disegnare e raffigurare per sé stesso degli dei morti e vuoti. Talvolta anche i cristiani sono tentati di credere che il Dio di tutte le religioni è in fondo lo stesso. No, la rivelazione cristiana segna una differenza radicale rispetto alle altre religioni, anche rispetto all’ebraismo da cui è nata e dall’Islam, pur avendo in comune il Dio di Abramo. Per Ireneo di Lione “il Signore ha portato ogni novità portando sé stesso” (Contro le eresie IV,34,1) e la novità principale è il Dio che ha rivelato. Occorre sempre tornare all’affermazione fondamentale e definitiva di Giovanni nel prologo del suo evangelo: “Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito che è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato” (GV 1,18). Ci sono innumerevoli monoteismi nel mondo il cui Dio, secondo la definizione che Ilario di Poitiers dà Dio degli ariani, è un Dio sconsolatamente “solitario” (La Trinità V). Il Dio nel quale siamo stati battezzati, il Dio del nostro simbolo di fede, “il Signore nostro Dio è l’Unico” (Dt 6,4), perché è comunione di amore. Una comunione alla quale, attraverso il battesimo, entriamo a far parte e ci fa entrare in Sé. Il Dio “vivo e vero” è un Dio che si abita, “in lui viviamo, ci muoviamo e siamo”, confessa l’apostolo Paolo (At 17,28). La riflessione teologica afferma che il mistero della Trinità è l’alterità inscritta in Dio stesso. È Dio che fa esperienza di donazione e di spossessamento ad intra prima che ad extra e che dunque agli uomini propone ciò che egli già vive.
La memoria del mistero della Triunità di Dio segue immediatamente la festa della Pentecoste perché di essa è il riflesso immediato, ed è una necessaria esegesi. Lo Spirito di comunione effuso a Pentecoste ha origine nella stessa comunione che è in Dio, che è Dio. Quei tre nomi invocati al momento del battesimo si rivelano in noi come comunione, come presenza che ci accompagna in quell’immersione nella morte, in cui riceviamo la vita nuova. Questa vita nuova è appunto vita di comunione, vita nel Padre, nel Figlio e nello Spirito santo. Ricevere il battesimo non è semplicemente compire un rito ma introdurre uomini e donne nella relazione vitale con Dio che è Padre per mezzo di Gesù il Figlio amato, nella forza dello Spirito Santo che da la vita. Pertanto il mandato che il Risorto affida agli apostoli non è quello di celebrare un rito in più, ma di fare “discepoli tutti i popoli”, facendoli partecipare alla vita divina. L’intera umanità è chiamata e invitata a partecipare alla vita di comunione che è Dio. La Trinità, infatti, non è un luogo teologico da indagare e sulla quale fare speculazioni ma una vita da accogliere in noi come dono, una vita alla quale partecipare. La Trinità è la vita che è in nome dal giorno del nostro battesimo.
Goffredo Boselli