“O notte beata”
Veglia Pasquale (30 marzo 2024)
“O notte beata”, ripete più volte il cantore nell’Exultet, il grande canto del messaggero che annuncia la vittoria pasquale. Da sempre noi cristiani celebriamo la Pasqua nella notte, perché Cristo è risorto da morte non al tramonto del sabato, non all’aurora del primo giorno della settimana e neppure nell’ora meridiana quando la luce è al suo apice. È invece nella notte che si è alzato dal buio della tomba. È nella notte che la vita ha trionfato sulla morte come luce che sconfigge le tenebre, come bagliore che illumina l’oscurità. Il Risorto non sopprime la notte ma fa di essa il tempo e l’ora in cui la sua vita risorge e in essa ogni vita può tornare a vivere.
La Pasqua non toglie nessuna delle notti che l’umanità nei suoi millenni di storia ha attraversato e neppure le notti che ogni essere umano può conoscere. La notte della guerra: quanto il buio acceca le menti dei governanti e “la tenebra ricopre la terra, nebbia fitta avvolge i popoli” (Is 60,2). La notte della violenza insensata e del male gratuito, dell’ingiustizia orribile, del dolore innocente e della sofferenza che toglie il respiro. La notte dell’amore tradito, la notte dell’abbandono e della solitudine. La notte della depressione e della disperazione, quell’oscurità che ben conosce chi non ha più nulla e nessuno in cui sperare, offuscamento dello spirito che molte volte conduce alla notte più buia di chi si toglie la vita. Ma soprattutto la notte della morte che rimane, anche dopo l’alba di Pasqua, una radicale ingiustizia.
Noi cristiani celebriamo la risurrezione di Cristo nel cuore della notte perché il Cristo risorto non l’ha eliminata e tantomeno ce l’ha risparmiata. Il Risorto abita la notte insieme a noi, la condivide con noi, avendo lui stesso conosciuto le tenebre più oscure del tradimento dell’amico, del rinnegamento della persona fidata, dell’abbandono dei discepoli e del silenzio di Dio: “Elì, Elì, lemà sabactàni … Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46). Questa grande notte ci accumuna, ci fa fratelli e sorelle, contemporanei degli uomini e delle donne di ogni tempo e di ogni luogo.
La notte di Pasqua è attraversata dalla polarità tenebra e luce, metafora della polarità umana fondamentale di morte e vita. Opposti radicali che la liturgia pasquale non cerca in alcun modo di negare o di smussare ma che mantiene tra loro in costante tensione, attraverso veri e propri ossimori com’è il cantare la notte luminosa. La notte è fonte di luce ed è esperienza di un buio illuminato, così come la morte è vinta dal Risorto ma l’essere umano continua a morire credendo nella vita più forte della morte. È al cuore del mistero della morte che Cristo è continuamente in atto di risurrezione, così che la morte al cuore stesso della gloria dà la misura della profondità del mistero pasquale. Questi sono i riflessi del paradosso della fede pasquale. Solo chi vive muore e sono esseri mortali quegli uomini e quelle donne che credono che la morte è stata vinta. Se è vero, come canta il tropario pasquale ortodosso, che Gesù “con la morte calpesta la morte”, è altrettanto vero che è stata tutta la sua vita e non solo il suo modo di vivere ad aver sconfitto la morte. Da come ha vissuto la sua vita mortale Gesù ha aperto all’umanità la via ad una morte vitale.
Goffredo Boselli