Il seme pasquale
Gv 12,20-33 – V domenica di Quaresima (17 marzo 2024)
È prossima la Pasqua dei giudei e con essa si avvicina per Gesù il tempo della sua condanna a morte, la sua Pasqua. Dopo la risurrezione di Lazzaro la fama di Gesù era cresciuta e molti dei giudei credono in lui (cf. Gv 11,45). Anche alcuni giudei greci della diaspora, saliti a Gerusalemme per la festa di Pasqua, desiderano conoscerlo: “Vogliamo vedere Gesù”. “Mentre i giudei chiedono segni i greci cercano la sapienza”, scriverà l’apostolo Paolo (1Cor 1,22). I giudei hanno avuto il segno di Lazzaro, i greci, uomini del sapere ed espressione della cultura, vogliono conoscere la sapienza di Gesù. Lui ignora la richiesta di incontro ma indirettamente vi risponde: “Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”.
Gesù si trova in un momento cruciale e decisivo della sua vita, riconosce che “è venuta l’ora”, e ha la certezza di quale sarà la sua fine. Per questo proclama: “Quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me”. Quando si troverà appeso alla croce, oltraggiato, frustato e ucciso, nella infame e ripugnante condizione del crocifisso, nella condizione opposta della sapienza che cercano i greci. Quando sarà evidente a tutti “la stoltezza della croce” (1Cor 1,23), solo allora attirerà tutti a sé, anche i pagani e tra loro i greci e i romani.
Il seme metaforico che Gesù oppone a coloro che vorrebbero vederlo e ammirarlo, descrive efficacemente la logica pasquale opposta alla logica umana. Gesù vede sé stesso come il chicco di grano che doveva morire e presenta la sua morte come una necessitas che nessuno può capire in quel momento. Applica a sé stesso una legge che osserva nella natura: poter rinascere e moltiplicarsi il chicco di grano deve morire. Se il chicco di grano resta solo è del tutto infecondo, la sua solitudine è contraddizione alla vita. Il seme deve accettare di essere soltanto un seme che sotto terra si disintegra e muore, ma la sua fine darà molto frutto per la vita di altri. Sì, c’è una forza incredibile in un chicco di grano, una forza che fa emergere le spighe dalla terra, è la forza della natura, è la forza della vita. La forza di un seme non sta nella sua grandezza ma nella vita che contiene.
Nella verità naturale del seme che muore Gesù discerne una verità umana: “Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna”. Non parla di amare la vita in quanto tale, ma la “propria vita”, ossia chi trasforma la vita che ha ricevuto in dono un suo possesso. Quando la vita propria diventa proprietà, un bene
esclusivo che da salvare a tutti i costi. I capi derideranno il Cristo in croce dicendo: “Ha salvato altri! Salvi sé stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto” (Lc 23,33).
Chi la propria vita non ne fa un assoluto e non l’antepone a quella degli altri – questo il senso dell’espressione semitica “odiarla” –, chi non ama la propria vita a scapito di quella degli altri, non la conserva per sé ma accetta di spenderla fino a perderla, questi la ritroverà come “vita eterna”, vita di comunione senza fine.
Non salvando sé stesso salva gli altri, per questo è il Cristo di Dio, a dire che l’unico modo per salvare la propria vita è donarla. Di noi resterà per sempre ciò che abbiamo dato invece di tenerlo in forzieri arrugginiti. Di noi resterà ciò che abbiamo perso per amore. Ciò che a caro prezzo avremo seminato nel cuore degli altri germoglierà. Questa è il seme pasquale.
Goffredo Boselli