Lasciamo cadere le pietre
Gv 8,1-11 – V domenica di Quaresima – (6 aprile 2025)
Fr. Goffredo Boselli, monaco della Madia
Al centro di questo evangelo c’è una donna sorpresa in adulterio a cui altri esseri umani vogliono applicare una giustizia zoppa, un sistema incompleto che punisce duramente alcuni mentre lascia liberi altri. Questa donna non ha un nome, è una persona indefinita, di lei non si sa nulla se non la sua colpa. Una colpa che non viene messa in discussione, una colpa dalla quale lei stessa non si difende. È una persona che deve sopportare le conseguenze di uno sbaglio che comunque non ha commesso da sola. Dov’è l’uomo? dov’è l’adultero?
“Tu che ne dici? Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo”. I farisei vogliono avviare un duplice processo dove gli accusati sono due: la donna e Gesù. Se Gesù rifiuta la lapidazione, si mette in contraddizione con la Legge di Mosè. Se decide di mettere a morte le persone contraddice tutto ciò che ha insegnato e praticato. Gli scribi e i farisei ritengono che Gesù stia dando una nuova Legge che sostituirà quella di Mosè e il loro approccio mira a rivelarlo, a portarlo alla luce.
Di fronte allo sguardo sprezzante di chi condanna questa donna, il capo chino e gli occhi bassi di Gesù sono il gesto più bello e rispettoso che si possa mostrare a quella donna in quel momento. Gesù si china perché anche la donna era a terra, a dire che la prima cosa che in suo Figlio Dio fa con noi è avvicinarsi, abbassarsi fino a noi, senza guardarci dall’alto in basso per giudicarci.
Poi Gesù si mette a scrivere con il dito a terra. Come Mosè scrisse la Legge su tavole di pietra così Gesù scrive col dito una nuova legge, non più sulla pietra ma nella terra sabbiosa simbolo dell’humus, la materia di cui è fatto l’essere umano, il terroso. Una legge scritta nella polvere è una legge fragile, malleabile, rimodellabile, a dire che la legge di Cristo non è più una legge generale, perché il Figlio di Dio è venuto a consegnare a ciascuno la parola scritta per lui e lui stesso la iscrive nel cuore di ognuno. Ecco perché non sapremo mai cosa Gesù scrisse sulla sabbia: quelle parole scritte erano destinate solo quella donna.
Quindi Gesù si alza in piedi, si oppone alle pulsioni di morte di coloro che condannano dicendo loro: “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la prima pietra contro di lei”. Gli accusatori se ne vanno accusati dalla loro coscienza, cominciando dai più anziani.
Gesù è lasciato solo “e la donna era là in mezzo”. L’evangelo tiene al centro questa donna, perché al centro dell’Evangelo c’è sempre la persona umana che Gesù Cristo non condanna ma libera dal suo peccato. È a ogni persona umana, a ciascuno di noi che Gesù Cristo dice: “Neanch’io ti condanno; va’ e
non peccare più”. Tutto finisce con una parola “Va’”, ricomincia, un nuovo futuro si apre davanti a te, rialzati e riprendi il cammino della vita con il rischio di peccare ancora.
Spesso si insegna che Dio perdona ma solo se noi chiediamo perdono, o che Gesù guarisce, ma è necessaria una richiesta o una confessione di fede. Ma qui Gesù perdona e rialza la donna mentre lei non chiede nulla, non confessa la sua fede e non esprime alcun pentimento. Gesù la libera e le dice: “Io non ti condanno”, a dire che Dio ci perdona senza imporre condizioni ma semplicemente perché ci ama e ha compassione della nostra condizione di miseria.
Il cuore di questo vangelo è la non condanna di Cristo nei confronti di una donna che gli uomini religiosi erano pronti a condannare. Una donna anonima che rappresenta i più deboli, le vittime, i condannati e gli esclusi ai quali Dio in Cristo offre il suo sguardo, la sua attenzione, il suo perdono
amorevole e liberante.
Lasciamo cadere le pietre del giudizio, della punizione, della condanna e osiamo guardare a quella legge che non condanna scritta dal dito di Cristo nella polvere dei nostri cuori.