Trasfigurazione
Lc 9,28b-36 – II domenica di Quaresima – (16 marzo 2025)
Fr. Goffredo Boselli, monaco della Madia
La trasfigurazione è il vertice della comunione di Gesù con il Padre ed è forse la sua più grande esperienza di solitudine. L’effetto ultimo del volto di Gesù che diventa altro, l’esito della sua conversazione con Mosè ed Elia, ciò che rimane della voce che risuona è per Gesù trovarsi solo o, si legge in una varante del testo, trovarsi “solo con sé stesso” (//Mc, Codice Vaticano B, 03).
Al cuore della trasfigurazione si raggiunge uno dei vertici della rivelazione del mistero di Gesù: “Dalla nube uscì una voce: ‘Questi è il Figlio mio, l’eletto, ascoltatelo!’. Appena la voce cessò, restò Gesù solo”. In realtà non vi è scritto “appena la voce cessò”, ma “nel momento in cui venne la voce Gesù restò solo” (Bibbia Einaudi). Questo significa che la sua non è la solitudine psichica di chi si sente solo, ma è la voce del Padre che lo fa essere solo. È la solitudine della sua condizione di figlio eletto e al tempo stesso di figlio dell’uomo. Il “Gesù solo”, senza più il volto trasfigurato, le vesti sfolgoranti, e la gloria di Mosè ed Elia che lo circondano, è colui che vive la sua vocazione di figlio di Dio, che scegliendo liberamente di svuotare sé stesso da ogni gloria per prendere la forma di servo, sceglie per sé la condizione umana così com’è, senza privilegi ed esenzioni, senza scorciatoie e infingimenti, ma riconoscendo la nuda realtà del suo essere umano.
Come il Cristo uscito dal deserto della tentazione, il Cristo che scende dal monte della trasfigurazione è lo stesso identico Cristo che sceglie di vivere semplicemente come uomo in questo mondo. Ciò che rimane della trasfigurazione è “Gesù solo”, cioè il solo Gesù che ci è dato conoscere: un uomo che va verso la sua passione e morte, senza gloria né splendore, disposto a pagare il caro prezzo delle sue convinzioni, della sua fede. Senza proclami e appelli ma nel silenzio nel quale anche i discepoli alla fine accedono.
Ecco quel che resta a Gesù al termine della sua trasfigurazione sul monte, gli resta sé stesso. Sì, possiamo dire che anche a Gesù “restò solo Gesù”, cioè quel che lui è in verità davanti a Dio e davanti agli altri. L’esperienza spirituale della trasfigurazione rivela a Gesù che è la nuda realtà della sua umanità quello a cui il Padre lo ha eletto. È la sua carne ciò che il Padre gli ha preparato. L’essere uomo è tutto quello che Gesù ha e che gli basta, gli deve bastare, per compiere quell’esodo, quel passaggio dal monte Tabor al monte Calvario, la Pasqua per noi salvifica. Gli resta quello che ha scelto di essere: solo sé stesso.
Il mistero della trasfigurazione è narrazione della fede pasquale e per questo ogni anno ci è chiesto di contemplarlo nel cammino quaresimale verso la Pasqua. Rinnovare la nostra fede pasquale significa allora rinnovare la scelta di fede: noi, davanti al Gesù solo, uomo umile e tremante di fronte alla prospettiva della morte. E noi davanti al Gesù dal volto e dalle vesti splendenti, avvolto dalla gloria di Mosè e di Elia, noi dobbiamo scegliere il “Gesù solo”, che significa discernere che il vero modo di essere fedeli a Gesù è di accettare la condizione umana in quanto tale. Non fuggiamo davanti a Gesù solo, ma seguiamolo nella nuda realtà del suo essere umano. È rifugiarci nel Vangelo come nella carne di Cristo che dobbiamo costruire le nostre capanne. Nel Vangelo dell’umanità di Cristo piantare le nostre tende e dire “è bello per noi essere qui”.