Sapienza e follia del Vangelo
Lc 6,39-45 – VIII domenica dell’ordinario (2 marzo 2025)
Fr. Goffredo Boselli, monaco della Madia
La parola di Dio che oggi ci è rivolta nel Siracide e nel Vangelo è molto semplice nel suo messaggio: attraverso massime e sentenze è pieno di saggezza umana, di ragionevolezza, di equilibrio.
“Quando si scuote un setaccio restano i rifiuti, così quando un uomo discute, ne appaiono i difetti”. Nella discussione, cioè quando la parola è in stato di agitazione e si accende, allora diventano evidenti i difetti di una persona. Evidenti non solo a quelli che l’ascoltano ma anzitutto alla persona che parla. Il Siracide sembra dirci che come è necessario passare al setaccio per togliere i rifiuti, allo stesso modo c’è una necessità, per conoscerci e far discernimento su noi stessi, che è quella di non fuggire la discussione con gli altri, nel confronto franco e acceso. Non aver paura di discutere significa accettare che insieme alle nostre parole escano anche i nostri difetti. Il parlare sempre in modo volutamente pacato, calmo, prudente può essere segno di chi ha paura di esporsi, di correre il rischio di non riuscire a controllare la sua parola e di mostrare agli altri quello che in verità si ha nel cuore. Solo passando la nostra parola al vaglio della discussione giungiamo a capire che nella parola infiammata insieme ai difetti di chi parla possono uscire anche delle verità sempre da ascoltare, che è la parte buona che rimane dal setaccio.
“I vasi del ceramista li mette alla prova la fornace, così il modo di ragionare è il banco di prova per un uomo”. Il modo di ragionare fa emergere di cosa è fatta una persona, cosa la abita, le ragioni che la muovono, ossia mette in luce la verità di una coscienza. Sceglie la fatica del ragionamento chi non accetta di restare alla superficie delle cose, chi non evade la complessità del reale, quella che costringe a pensare, a riflettere per interpretare la realtà, sé stessi e gli altri. Ragiona colui che rifiuta di non risolvere la difficoltà dei problemi e delle situazioni con la via di fuga di uno spiritualismo a buon mercato che è la grande tentazione del mondo religioso.
Anche il Vangelo, dopo alcune sentenze, si conclude con un insegnamento sapienziale sulla parola che raccoglie l’eredità della sapienza biblica: “L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda”. Affermando che dalla bocca deborda tutto quello che abbiamo nel cuore, Gesù ci ricorda che noi non pronunciamo parole, ma siamo le parole che pronunciamo. Per questo Gesù va alla radice, il cuore, ossia al nucleo della nostra personalità, la parte più intima e segreta di noi stessi che descrive come un tesoro, dal quale con la parola noi possiamo tirar fuori il bene o il male. Il cuore come un deposito nel quale sta a noi decidere se tesorizzare tutto ciò che è bene, bontà, bellezza o accumulare il male, la cattiveria, il risentimento. Ciò che è comunque certo, è che quando parliamo e agiamo, dal nostro cuore noi tiriamo fuori quello che negli anni ci abbiamo messo dentro e, giorno dopo giorno, vi abbiamo raccolto per una vita intera.
Vangelo non è solo follia ma anche sapienza che è il distillato di un vissuto intelligente, di chi ha scrutato l’animo umano, ha saputo vedere e ascoltare la realtà, i fatti, le cose. Consapevoli però che questa saggezza umana ci rassicura nelle nostre convinzioni, con quell’evidenza propria del buon senso. Allora sta a noi non cedere alla tentazione di addomesticare la follia del Vangelo con la ragionevolezza della sapienza umana.
Riconosciamolo, del Vangelo e della sua follia spesso non riusciamo a sostenerne il carico, a tollerarne lo scandalo, l’insensatezza e allora cerchiamo di armonizzarlo per rendercelo accettabile e proviamo ad arrotondarlo per renderlo praticabile. No, non c’è autentica sapienza evangelica senza la follia del Vangelo.