“I suoi non lo hanno accolto”
Gv 1,1-18 – II domenica dopo Natale – (5 gennaio 2025)
Sorprende e sempre sconcerta l’animo che l’inaudito annuncio “il Verbo si è fatto carne” sia preceduto dall’amara constatazione: “Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto” (Gv 1,11). La grandiosa proclamazione del mistero dell’incarnazione del Verbo di Dio è al tempo stesso crudele confessione della sua non accoglienza da parte della sua gente. L’evangelista Luca lo annoterà raccontando che il bambino nasce in una mangiatoia “perché per loro non c’era posto nell’alloggio”, presentando Maria e Giuseppe come della povera gente, dei viandanti lasciati fuori dalla porta. Questo bambino è nato non accolto, escluso. Lui che farà della santità ospitale il tratto essenziale del suo stare con gli altri.
C’è qui una perfetta simmetria tra il modo di nascere e il modo di morire di Gesù, che più che una corrispondenza narrativa è una coerenza di vita. Egli fu portato fuori dalla città e crocifisso tra delinquenti. Al grido “crocifiggilo, crocifiggilo”, sono tutti concordi nel dire che per uno come lui non c’era posto nel mondo.
Perché questo modo? Perché questo bambino che è nato pur essendo “Il Verbo fatto carne” si presenta come uomo e solo quello. L’uomo che è soltanto uomo, che non ha privilegi, non ha onori da rivendicare o titoli da ostentare, non è integrato né integrabile. Se guardiamo a Gesù mettendo, per così dire, tra parentesi il suo essere Figlio di Dio, e dunque semplicemente come uomo, egli è esattamente l’esempio dell’uomo che vive tra gli uomini ma gli uomini non lo accolgono. Non lo accolgono perché la sua semplice presenza contraddice il modo concreto con cui gli uomini concepiscono la loro vita, la progettano e spesso la sognano. Immaginiamoci, poi, cosa può accadere se quest’uomo ha anche la pretesa di avere una parola veritiera su Dio, di esserne la rivelazione, di esserne il Figlio.
“Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto”, questo significa almeno una cosa, che Dio non va cercato tra i suoi. Dio va cercato non dove pensiamo possa naturalmente e religiosamente essere. Non dove vorremmo che fosse, ma dove lui ha stabilito la sua tenda. E la tenda di Dio è sempre fuori della città, perché il bambino di cui a Natale celebriamo la nascita è il bambino nato escluso, lasciato fuori ed emarginato dai suoi, non da altri. Dal momento che era uno di loro, avrebbero dovuto riconoscerlo per primi.
Questo significa che fin dalla sua nascita Gesù di Nazaret ha rivelato un Dio non solo in contrasto con le nostre umane attese su Dio, diverso da come ce lo siamo immaginato, rappresentato e raccontato, ma che Gesù rivela un Dio che invece è esattamente ciò noi escludiamo di lui, in quello che per noi è l’opposto di Dio: vale a dire, l’umano nella peculiare forma dell’escluso, del povero, del marginale, dello straniero, del peccatore, dell’eretico.
Perché il Natale sia vangelo dobbiamo finalmente convincerci che per arrivare a conoscere il Dio di Gesù dobbiamo non solo ascoltare ma interiorizzare questo “e i suoi non lo hanno accolto”, vale a dire che ciò che nella mia conoscenza, ricerca e idea naturale di Dio escludo di lui, lui ha posto la sua tenda, e solo lì lo posso incontrare. Il vangelo del Natale ridesti in noi il bisogno viscerale di confrontarci con tutto ciò che è lontano da noi, emarginato dalla forza della nostra esclusione e li conoscere, accogliere e adorare Dio.
Goffredo Boselli