È iniziato l’Avvento, il tempo del Marana thà, dell’invocazione della venuta del Signore nella gloria. Come in programma ogni sabato di Avvento alle 17.30 alla Casa della Madia, fr. Enzo Bianchi ha tenuto la lectio divina sui testi biblici della domenica. Al termine, insieme agli ospiti presenti, con il vespro della I domenica di Avvento abbiano aperto solennemente l’Avvento con il canto del Lucernario “O luce
radiosa, splendore eterno del Padre”.
Domenica 1° dicembre, fr. Enzo ha predicato il ritiro di Avvento, alla presenza di molti ospiti venuti per la giornata iniziata con la meditazione del mattino, seguita della celebrazione eucaristica, dal pranzo, dalla seconda meditazione e conclusa con il vespro domenicale. Attraverso un itinerario biblico, Fr. Enzo ha ricordato che l’Avvento è una memoria futuri, secondo l’espressione cara ai Padri della chiesa. Non è memoria del passato già avvenuto ma memoria del futuro che viviamo nell’attesa: la venuta gloriosa del Figlio dell’uomo. “Pensare l’Avvento come una semplice preparazione al Natale, come la Quaresima prepara alla Pasqua, – ha ricordato fr. Enzo – è la perversione di una pietà cattolica debole e fuorviante. Non si attende il Natale, perché la nascita di Gesù è già avvenuta una volta per tutte nella storia! Sarebbe una regressione psichica e spirituale. Del Natale si fa memoria del passato – (“Oggi Cristo è nato” recita la liturgia di Natale e non “Oggi Cristo nasce”), invece l’Avvento è memoria del futuro, della venuta del Signore che sarà Signore di tutto l’universo, in una gloria che non ha conosciuto nella sua prima venuta nella carne”.
A conclusione abbiamo consegnato tutti gli ospiti presenti l’omelia di Avvento pronunciata da Dietrich Bonhoeffer nel 1928 di cui riportiamo qui un estratto:
“Festeggiare l’Avvento significa saper attendere: attendere è un’arte che il nostro tempo impaziente ha dimenticato. Esso vuole staccare il frutto maturo non appena germoglia; ma gli occhi ingordi vengono soltanto illusi, perché un frutto apparentemente così prezioso è dentro ancora verde, e mani prive di rispetto gettano via senza gratitudine ciò che li ha delusi. Chi non conosce la beatitudine acerba dell’attendere, cioè il mancare di qualcosa nella speranza, non potrà mai gustare la benedizione intera dell’adempimento. Chi non conosce la necessità di lottare con le domande più profonde della vita, della sua vita e nell’attesa non tiene aperti gli occhi con desiderio finché la verità non gli si rivela, costui non può figurarsi nulla della magnificenza di questo momento in cui risplenderà la chiarezza; e chi vuole ambire all’amicizia e all’amore di altro, senza attendere che la sua anima si apra all’altra fino ad averne accesso, a costui rimarrà eternamente nascosta la profonda benedizione di una vita che si svolge tra due anime. Nel mondo dobbiamo attendere le cose più grandi, più profonde, più delicate, e questo non avviene in modo tempestoso, ma secondo la legge divina della germinazione, della crescita e dello sviluppo”.