Un Messia secondo Dio
Mc 8,27-35 – XXIV domenica dell’ordinario – (15 settembre 2024)
Siamo al centro del vangelo secondo Marco e la confessione di Pietro ne è il culmine, “Tu sei il Cristo”. È un punto di arrivo perché dopo tanta incomprensione Gesù è riconosciuto come il Messia, l’Unto del Signore. La seconda parte del vangelo giungerà al suo vertice con la confessione del centurione di fronte al Cristo crocifisso: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio”. Fino ad ora era stata la gente a domandarsi chi era Gesù – “Chi è mai costui?” –, ora è lo stesso Gesù a porre ai discepoli la domanda: “La gente, chi dice che io sia? … Ma voi, chi dite che io sia?”.
È significativo che la confessione di Gesù come Messia avvenga a Cesarea di Filippo, all’estremo nord d’Israele in una località aperta ai pagani, mentre nel centro religioso, a Gerusalemme, sarà condannato come bestemmiatore. Eppure, a Cesarea la confessione di Pietro resta confusa e implica un malinteso radicale, mentre a Gerusalemme, dove Gesù è messo a morte, per bocca di un pagano avrà luogo la vera confessione.
L’evangelista annota che Gesù interroga i suoi “per strada” (en te odo), alla lettera “in cammino”, ed è la prima volta che Marco utilizza questa espressione per indicare il loro camminare verso Gerusalemme. È come se la domanda posta da Gesù sulla sua identità dia inizio a quel cammino lungo il quale i discepoli saranno chiamati a prendere posizione rispetto all’identità di Gesù e al tempo stesso rispetto alla volontà di seguirlo sulla sua strada che lo condurrà alla croce.
Gesù pone la prima domanda: “La gente, chi dice che io sia?”. La risposta della gente che ha ascoltato la predicazione di Gesù e visto i suoi segni non coglie la sua novità radicale e lo associa ai profeti, a figure del passato. Poi si rivolge ai discepoli: “Ma voi, chi dite che io sia?”. Pietro a nome dei Dodici risponde: “Tu sei il Cristo”. Una risposta chiara, incisiva, senza sfumature e incertezze. Ma confessare che Gesù è Messia è esatto ma incompleto, può essere ambiguo e fuorviante. Ordinando severamente ai discepoli di “non parlare di lui” a nessuno,
Gesù mostra di sapere che la loro idea di Messia è opposta a quella da lui incarnata. Ne è riprova la reazione di Pietro all’annuncio del Messia che Gesù sarà: un Messia non acclamato ma rifiutato, non vittorioso ma sofferente, non liberatore del suo popolo ma messo a morte dai capi del suo popolo. “Faceva questo discorso apertamente”, annota l’evangelista. Alla confessione di Pietro inequivocabile, Gesù risponde con parole altrettanto chiare. La messianicità incarnata da Gesù non deve restare ambigua e indefinita: è un Messia completamente opposto a quello atteso e invocato in Israele e dai discepoli stessi. Per questo Pietro la prende in dispare e lo rimprovera, gli intima il silenzio e cerca di convincerlo ad allontanarsi dalla via della croce. La reazione di Gesù è inusitatamente violenta, rivolgendo a Pietro le parole più dure dette a un suo discepolo: “Tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli
uomini”. Il Messia che è Gesù può essere pensato secondo Dio o secondo gli uomini. La croce è la discriminante tra due modi di ragionare tra loro incompatibili. In questo Pietro è diabolico, perché ha un modo di pensare (e di credere) che separa Gesù dalla croce.
Gesù non è il Messia frutto del pensiero dagli uomini e delle loro immagini di Dio. Il Messia Gesù è “un verme non un uomo, un rifiuto umano disprezzato dal popolo” (salmo 22). “Tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini” è un richiamo estremamente profondo e inquietante che oggi è rivolto ad ogni credente: denuncia il nostro parlare il linguaggio cristiano e usare questo linguaggio come suono che percuote il timpano e non ha più il contenuto che il
Vangelo gli dà.
Goffredo Boselli