Signore, da chi andremo?
Gv 6,60-69 – XXII domenica dell’ordinario – (25 agosto 2024)
La catechesi sul “pane vivo disceso dal cielo” che segue il segno della moltiplicazione dei pani operata da Gesù è giunta al termine; ora il vangelo descrive la reazione a questo discorso da parte dei discepoli, quelli che erano stati chiamati da Gesù, che lo avevano seguito ed erano stati
istruiti da lui, l’ultimo e definito rivelatore di Dio.
La reazione dei discepoli è quella già registrata a proposito dei capi religiosi; essa assume la forma di mormorazione e scandalo: “Questo linguaggio è duro – cioè incomprensibile, inaccettabile –; chi può intenderlo?”. È accaduto tante volte lungo la storia di salvezza, è accaduto a Gesù e ai
suoi discepoli, accade ancora oggi nelle comunità cristiane: prima o poi si ascolta una parola del Signore che sembra esigere troppo, una parola inattesa che appare impossibile da realizzare; di fronte ad essa ciascuno di noi è colto da paura, fino a rigettarla il più lontano possibile dalla propria
vita. In questa situazione non si ricorda più la vocazione ricevuta da Dio né la propria risposta a tale chiamata: è l’ora della crisi, ma purtroppo non si ha la forza di leggerla come un passaggio attraverso la prova in vista di una purificazione, di un’adesione più salda al Signore…
Ebbene, nel mezzo di questa crisi comunitaria Gesù non addolcisce le sue parole. Non si possono svuotare le esigenze radicali del Vangelo, sembra dire Gesù. Egli allora chiede ai discepoli: “Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima?”. Sono parole con cui Gesù annuncia la propria passione e morte, il suo esodo umanamente ignominioso da questo mondo al Padre. In altre parole, è questo lo scandalo della croce: per non finire preda di esso occorre credere a Gesù, aderire saldamente a tutta la sua vita, senza scandalizzarsi di lui. Eppure Gesù sa che tra i suoi discepoli ve ne sono alcuni che non credono. Com’è possibile?
Sì, è possibile che quanti si ritengono credenti in Dio siano in realtà increduli; è possibile addirittura che tra quelli che sono stati coinvolti più da vicino con la vita di Gesù ve ne siano alcuni che non credono in lui, ma lo seguono per altri motivi non confessati o non confessabili… È a questa amara esperienza che Gesù fa riferimento quando afferma: “Lo schiavo non resta per sempre nella casa; solo il figlio vi resta sempre” (Gv 8,35). Chi resta nella comunità di Gesù come uno schiavo, prima o poi se ne andrà, abbandonando il Signore e i fratelli; per perseverare nella sequela di Gesù non basta un ideale né sono sufficienti delle nobili motivazioni: occorre una fede salda!
“Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui”, annota con duro realismo Giovanni, lasciando intendere una grave crisi comunitaria. È a questo punto che Gesù si rivolge ai Dodici, a quelli che gli erano più intimi, con parole provocatorie e, insieme, liberanti: “Forse anche voi volete andarvene?”. E Pietro risponde, a nome dei Dodici: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio”. Ma il lungo capitolo sesto del quarto vangelo si conclude con alcune parole che costituiscono un severo monito per ogni cristiano, che mai può ritenersi garantito nella propria sequela del Signore: “Non ho forse scelto io voi, i Dodici? Eppure uno di voi è un diavolo! Egli parlava di Giuda, figlio di Simone Iscariota: questi infatti stava per tradirlo, uno dei Dodici”
Goffredo Boselli