Una separazione necessaria
Mc 16,15-20 – Ascensione (12 maggio 2024)
L’ascensione di Gesù è essenziale al suo mistero, per questo il Nuovo Testamento la narra e la Chiesa la celebra. Il senso dell’ascensione era infatti iscritto nel modo di essere di Gesù, nella sua maniera di stare con gli altri e di vivere la sua missione. Ciascuna delle manifestazioni di Gesù in questo mondo è seguita da una scomparsa. Dopo aver compiuto segni e pronunciato parole, Gesù si sottrae agli altri, come se la sua missione dovesse essere significata da questo ritirarsi e scomparire. Quasi che Gesù sentisse la necessità di obbedire a un ritmo al lui interiore e naturale, di presenza e assenza, di vicinanza e allontanamento, di prossimità e separazione. Lascia la folla e da solo sale sulla montagna presso il Padre; si sottrae perché nessuno possa mettergli le mani addosso; insegna nel Tempio e poi se ne va e si nasconde. Il suo stesso linguaggio rivela senza mai cedere alla semplice evidenza. Con le parabole obbliga a cercare il senso nascosto. Annuncia il Regno di Dio con dei paradossi che sorpassano le concezioni di chi lo ascolta.
Di questo ritmo interiore e naturale di presenza e separazione l’ascensione è l’ultimo atto di Gesù sulla terra. Atto ultimativo che impone ai discepoli una scelta ultima e definitiva: seguirlo ancora benché lui abbia voluto staccarsi da loro, oppure andarsene perché non lo possono più trattenere. Gesù sa bene che solo scomparendo dalla loro vista i discepoli avrebbero potuto vedere con chiarezza ciò che lui era per loro. Solo separandosi da loro i discepoli avrebbero compreso ciò che in verità li teneva uniti a lui. Solo andandosene avrebbero potuto costatare cosa di lui rimaneva in loro. Così, nell’ora dell’ascensione, quando la separazione da Gesù, più volte da lui annunciata, avviene in modo definitivo, i discepoli non restano smarriti ma “essi partono e predicano dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro” (Mc 15,20)
La missione dei discepoli dimostra che è sequela autentica non quella che conosce la tristissima ora del rifiuto del maestro, ma quella che sa vivere l’ora della necessaria rinuncia come ora di grazia. Dall’ascensione, cioè dall’ora della separazione, i discepoli hanno saputo rinunciare a vedere Gesù e da allora hanno avuto la gioia di saper che lui agiva insieme con loro e confermava l’annuncio del Vangelo. Sono stati capaci di rinunciare ad ascoltare lui che parlava loro e hanno cominciato comprendere tutta la ricchezza della sua parola, del suo insegnamento. Hanno rinunciato a possederlo e si è rivelata loro la sua presenza. Nel Risorto “elevato in cielo” ogni assenza diventa presenza e ogni separazione è promessa di nuova comunione.
L’ascensione, mistero del sottrarsi di Gesù mette alla prova la nostra fede, e rende inquieto il nostro amore per il Signore senza tuttavia giungere mai a spezzare il legame con lui. La simultanea sua presenza e assenza nella loro misteriosa identità è la nostra inquietudine. In realtà, sono proprio una fede provata e un amore inquieto il segno in noi della sua Presenza. È reale, la sentiamo, ma ci elude, non si lascia né afferrare né possedere. Questa Presenza che non si lascia trattenere invita la fede e l’amore a una ricerca, che fa del possedere un desiderio e non una conquista. La nostra impazienza diventa così il presentimento di ciò che il Signore è. Il presentimento di come lui voglia essere creduto e amato: sono questi i credenti in lui, gli amanti che il Signore cerca.
Goffredo Boselli